Il lascito culturale più pernicioso della visione monoteista della realtà è di aver intrecciato il concetto di causa con quello di colpa. I filosofi direbbero: aver confuso il piano ontologico con l’aspetto etico, le cose con le intenzioni, come aggiungerebbe Wittgenstein.
E’ questa la visione del counseling politico come indagine e riprogrammazione partendo dai fatti. Nella soluzione di questo problema non si può prescindere dalle cause: i regimi politici di provenienza, le guerre endogene e importate in quei paesi (anche da noi), le distorsioni ambientali climatiche, e infine il clima politico attorno al fenomeno della migrazione creatosi nel nostro paese e in Europa. Così si è giunti al punto da cancellare la tradizione del soccorso in mare. Il resto sono colpe di tanti (trafficanti) e di alcuni (scafisti).
Questa confusione tra causa e colpa pervade ancora la nostra civiltà e il linguaggio, nonostante l’impegno dell’illuminismo a districare l’intreccio. Lo si nota meglio che altrove appunto nel linguaggio d’uso, in cui la prima domanda che ci facciamo in una data situazione è: “di chi è la colpa?”, ancora prima di: “qual è la causa?”. Sceneggiatura che si ripete in questi giorni dopo il naufragio di Cutro. Nell’inseguimento della colpa non abita la verità, ma il giudizio, che un ambito ben più aleatorio.